Quando e perché?

Sono convinto che parlare con uno psicologo sia un’occasione importante che ognuno sente quando è il momento di cercare, perché ha voglia o bisogno di farlo. Ci sono momenti nella vita in cui si può vivere un malessere interiore, avere un senso di incertezza, di tensione più o meno prolungata e a volte angoscia. Fidarci del nostro intuito e delle nostre emozioni sembra difficile. Non possiamo fare progetti per noi e ci sembra di non sentire più in mano la nostra vita.

Ci sono dei valori per me irrinunciabili di ogni essere umano che il malessere può oscurare e rendere invisibili. Confrontarsi con uno psicologo significa riscoprirli e fare una nuova esperienza. Vuol dire diventare se stessi, gestendo i limiti della vita, creando legami autentici e appartenenza ad esempio. Significa essere autori della propria vita.

Approfondimenti

Depressione, ansia, fobie e altre forme del malessere

Ci sono diverse forme in cui il malessere personale si esprime. In ambito psichiatrico e tra molti psicoterapeuti, queste forme vengono classificate in raggruppamenti clinici. Senz’altro può essere utile far riferimento a queste aree, e chiunque volesse leggerne un elenco può con facilità recuperarlo in internet in quanto viene continuamente proposto e pubblicizzato; oppure può fare riferimento ai numerosi manuali psicodiagnostici, tra cui l’americano DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) o l’inglese ICD (International Classification of Diseases), per citare i più noti e commerciali sistemi classificatori che descrivono nel dettaglio i sintomi dei quadri psicopatologici.
Tuttavia, ci tengo a sottolineare che il mio interesse e la mia attenzione sono rivolti ad altri parametri, al di là di questi raggruppamenti. Sto parlando della percezione soggettiva di sofferenza della persona che mi chiede aiuto, del senso del suo malessere, sto pensando alla persona nella sua complessità e interezza, come essere umano. Troppo spesso questo – e lo dico con una convinzione sempre più confermata negli anni – viene dimenticato da gran parte del mondo della psicologia, della psicoterapia e della psichiatria.

Il mio modo di intendere il lavoro psicologico e psicoterapeutico, infatti, non riduce mai la persona a un sintomo psicopatologico, ma tiene conto di una molteplicità di elementi.
Valorizza, cioè, i vissuti emotivi della persona, comprende la sua storia e le esperienze relazionali familiari e sociali, rispetta i suoi pensieri e le sue scelte. Parte del percorso è quella di dare un senso al malessere, alle esperienze e alle emozioni che l’individuo vive: ad esempio un senso di depressione, di ansia o di paura sono dei segnali fondamentali del nostro corpo, che ci stanno dando una comunicazione di qualche tipo. Se conoscere i sintomi e i raggruppamenti clinici e diagnostici può essere un guida, soprattutto per il neofita, è tuttavia inutile se non vengono fatti altri passi in più. Fondamentale cioè ascoltare i segnali del nostro corpo e dargli un nome (ad esempio ansia, depressione, fobia eccetera), ma poi non possiamo fermarci qui. È necessario comprendere questi segnali all’interno della complessa esperienza di vita dell’individuo.
Facendo un’esemplificazione, se una persona è depressa perché si sente impotente, se è ansiosa perché deve incontrare qualcuno che genera soggezione, se ha una fobia perché ha paura dell'aereo o di restare al buio, queste manifestazioni sono un veicolo importante per comprendere quali siano le difficoltà che sta vivendo la persona. Voglio dire che depressione, ansia, fobie e altre forme del malessere aprono molteplici interrogativi. Per esempio: come mai una persona pensa di non potere agire secondo un suo punto di vista, come mai non si sente alla pari con gli altri oppure perché vive stati di terrore quando si trova al buio? Questa comprensione porta la persona al nodo problematico con l’obiettivo di cambiare il proprio comportamento. Soltanto grazie a questo, il malessere nel tempo non si manifesterà più. Qualora, invece, si agisse sul sintomo per eliminarlo, senza comprendere il senso che veicola, non si ascolterebbe il messaggio del corpo e non avverrebbe nessun reale cambiamento del comportamento. Oltretutto l’organismo troverebbe altre vie per poter continuare a segnalare all’individuo il proprio malessere.

A volte, purtroppo, dare un’etichetta diagnostica serve più al dottore per sentirsi al sicuro dietro un nome tecnico, attraverso cui mostra il suo sapere. E purtroppo il paziente, esattamente come il dottore, può sentirsi rassicurato da questo, anche se nel tempo, fortunatamente, ne sente il limite.

Nei primi anni di vita

Nei primi anni di vita si forma, attraverso l'interazione con l'ambiente, una struttura mentale che consente al bambino di muoversi nel mondo e di relazionarsi con gli altri secondo la sua propria soggettività, con un sentimento di sicurezza e libertà.
Se le esperienze relazionali sono buone la struttura mentale si organizza in modo flessibile, consentendo al bambino la fondazione di un senso di sé fiducioso e di un'indispensabile disposizione inventiva nei confronti dell'ambiente. La struttura mentale è dinamica.
Se le esperienze relazionali non sono buone la struttura mentale si organizza in modo rigido, perde la sua plasticità e dinamicità. Questo non consente lo sviluppo delle capacità del bambino, lo blocca nella possibilità di esplorare il mondo creativamente e di relazionarsi agli altri in modo sicuro e libero. La struttura mentale diventa rigida e tende a mantenersi tale anche in età adulta, provocando malessere.
L'individuo può riconoscere il suo disagio attraverso il manifestarsi dei sintomi, che possono rappresentare un'occasione, anche se faticosa, per chiedere aiuto, per comprendere e affrontare il proprio malessere. E cambiare la propria vita.

La società, la famiglia, l’individuo

La società attuale, fortemente competitiva e allo stesso tempo precaria, non favorisce un senso di appartenenza e può provocare nell'individuo un doloroso vissuto di isolamento e di impotenza.
Anche la famiglia, quando perde la sua dimensione di intimità e di rispetto reciproco tra i suoi componenti, può generare un senso di solitudine e di sfiducia.
L'individuo può sviluppare un'immagine di sé negativa, può sentire di non valere come persona, di non avere punti di riferimento affettivi e proprie capacità creative e autonome.