Letture

di Jacques-Alain Miller

Polemica: morte agli psi?

In questo breve articolo un noto psicoanalista francese, Jacques-Alain Miller, esprime uno dei valori più profondi e ambiziosi della psicoterapia a orientamento analitico. Come il titolo provocatorio insinua, Miller scrive nelle colonne di Le Point per levarsi contro l'emendamento per la regolamentazione della psicoterapia a favore dell'autenticità della relazione terapeutica (pubblicato su Le Point il 3 luglio 2008). Buona lettura!
Enrico de Sanctis

«Lo psi è diventato, per i francesi, un personaggio familiare. Non che si sappia sempre con precisione ciò che distingue lo psicoanalista dallo psicoterapeuta, lo psichiatra che dà i farmaci e lo psicologo che non ne dà. Nell'opinione pubblica, lo psi è anzitutto qualcuno che vi ascolta.
È qualcuno a cui confidarsi, di cui fidarsi, di fronte al quale ci si può abbandonare in tutta libertà. Qualcuno che aiuta la sofferenza (o l'enigma) che vi abita a esprimersi e a tradursi in parole. Qualcuno che vi riceve in quanto siete un essere a parte, un'eccezione che vale di per sé, non uno qualsiasi, non un numero, non un esemplare della vostra classe di età o della vostra classe sociale. In un mondo in cui ognuno sente bene di essere ormai "usa e getta", l'incontro con lo psi resta una radura, un'enclave intima, potremmo persino dire un'oasi spirituale.
Di fronte alla vastità di questo fenomeno di società, le grandi istituzioni e le grandi aziende hanno voluto avere i loro psi. Ma il pubblico non s'inganna; sa bene quando lo psi serve anzitutto gli interessi di un padrone e quando è anzitutto al servizio di colui che gli parla.
Ebbene, questo mondo minaccia di finire. Sappiate che, nelle profondità dello Stato, delle fucine oscure lavorano con accanimento alla messa a punto di un prototipo ancora segreto, destinato alla dissoluzione progressiva degli psi di una volta: sia lo psi che, in nome della sua autonomia professionale, resiste alla sua gerarchia; sia lo psi geniale, che deve la sua clientela solo al passaparola; sia lo psi liberale, che deve render conto solo al suo analizzante. Buttiamo gli psi nel cassonetto! Largo ai tecno-psi!
Il tecno-psi non avrà la funzione di accogliere ognuno nella singolarità del suo desiderio: che perdita di tempo! Che cattivo rapporto costo-profitto! E, inoltre, guarire con le parole è solo una stregoneria! No, il tecno-psi non ascolta, lui conta, tara, raffronta. Osserva dei comportamenti, valuta dei disturbi, individua dei deficit. Autonomia zero: obbedisce a dei protocolli, fa quello che gli viene detto, raccoglie dati, li consegna a delle équipe di ricerca. Gli apparati dello Stato sono presenti sin dall'inizio della sua formazione ed egli resterà sottomesso a loro nel corso del tempo tramite valutazioni periodiche. La verità è che il tecno-psi non è uno psi: è un agente di controllo sociale totale, anche lui sotto sorveglianza costante. Lo so, si direbbe che questa è fantascienza. Anche Stalin non ha osato tanto. È anche più forte della Stasi: essa metteva dei microfoni, lì vi collegano direttamente un tecnico sul cervello. Eppure è quello a cui tende molto precisamente il testo dell'ordinanza che un conclave di funzionari dei Ministeri della Sanità e dell'Insegnamento superiore si vanta, a Parigi, di far firmare dai loro Ministri, nella calura umida del mese d'agosto. Questo bel progetto poggia su un abile raggiro. Non basta programmare la morte del popolo psi: affinché non ne rimanga nulla, lo si deve anche privare del suo nome. Tecno-psi, io ti battezzo... Psicoterapeuta! Non appena il Consiglio di Stato avrà adottato il decreto applicativo della legge sul titolo di psicoterapeuta, le maschere cadranno: con una semplice ordinanza ministeriale, sarà l'anno I dell'era del tecno-psi.
Questo ci fa pensare a Brecht: il governo, scontento del popolo, decide di dissolverlo e di eleggerne un altro. O anche a Lewis Carroll: "Si tratta di sapere" - disse Alice - "se voi potete dare alle parole tanti diversi significati". "Si tratta di sapere" - disse Unto Dunto - "chi ha da essere il padrone. Questo è tutto".
Il peggio, tuttavia, non è certo. Mi stupirebbe che Roselyne Bachelot e Valérie Pécresse vogliano legare i loro nomi a tale infamia. E, inoltre, c'è anche quella giovane donna che ha testimoniato pubblicamente di quanto ella doveva alla psicoanalisi. Divenuta la "regina di cuori" di questo paese, non dirà: "La psicoanalisi? Le si tagli la testa!"».